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Carlo Ceresa

(S. Giovanni Bianco/Bergamo 1609 - Bergamo 1679)

Biografia

Secondo Francesco Maria Tassi, che scrive nel 1793, Carlo Ceresa sarebbe nato a S. Giovanni Bianco, in Val Brembana, il 20 gennaio 1609, notizia su cui pesa ancora qualche dubbio, dal momento che a quella data il padre non risultava ancora sposato, ma che, non potendosi escludere una sua nascita legittimata col matrimonio da lì a pochi mesi, conserva una sua approssimativa plausibilità, se è vero che le sue prime due opere conosciute, il Ritratto di Girolamo Pesenti a 28 anni e la Pietà con santi e donatori di S. Giovanni Bianco datano con certezza al 1628. Sono due opere ancora immature, frutto probabilmente di un deficit di apprendistato, ma in cui si intravede già il tratto più evidente della personalità artistica del Ceresa: una naturale e schietta spontaneità nel ritratto e una più travagliata ed elaborata difficoltà nei temi di arte sacra, che egli affronta all’inizio ricalcando con provinciale patetismo gli stereotipi devozionali delle stampe popolari. La formazione artistica del Ceresa, del resto, ha anch’essa contorni alquanto incerti. Il giovanile apprendistato alla scuola di Daniele Crespi, di cui parla il Tassi, sembra proprio da escludere, perché l’influenza del Crespi si rivelerà solo più tardi verso il 1640, mentre l’influsso dell’arte veneziana, che il Tassi fa risalire a un soggiorno dell’artista nella città lagunare, appare alquanto improbabile, anche se non è escluso da Luisa Vertova, una delle più autorevoli studiose dell’artista.

Comunque stiano le cose, mentre a partire dal 1630 matura la straordinaria serie di ritratti in cui il Ceresa dà volto all’austero moralismo controriformistico della piccola nobiltà di provincia, colta nella sua umana e realistica semplicità quotidiana, bisognerà attendere il 1640 perché Ceresa raggiunga nell’arte sacra quell’autonomo profilo stilistico che appare per la prima volta nel Battesimo di Cristo per la Casa parrocchiale di Terno d’Isola e nella quasi coeva Crocifissione di Mapello. In queste e nelle successive pale d’altare - come la Visione di San Felice da Cantalice (1644) o le tele per la Cappella del Rosario nel Santuario di Sombreno (1645-1649) - si fa evidente, infatti, quella tendenza a risolvere la luminosa e naturalistica solidità delle figure, mutuata da Daniele Crespi, in una più eterea e sospesa atmosfera che conferisce spesso ai suoi personaggi una rarefatta spiritualità, favorita dalla mancanza di azione sulla scena.

Nel 1635 il Ceresa aveva sposato Caterina Zignoni, figlia di un agiato proprietario di fucine di ferro in Val Brembana, che spesso presterà il suo volto alle Madonne del Ceresa. Ne ebbe undici figli, fra cui Giuseppe che lo affiancherà a partire dal 1660 e che ne erediterà la bottega e Giovanni Antonio il più giovane e il più artisticamente dotato, che morirà a soli vent’anni nel 1679 a pochi mesi di distanza dal padre scomparso il 30 gennaio di quell’anno. Sei anni dopo, nel 1685, moriva però anche Giuseppe e la bottega passerà così nelle mani del figlio di quest’ultimo, Carlo, divenuto in seguito prete.

Per molto tempo - dopo la rivalutazione che della sua opera fecero nel 1953 Roberto Longhi e Giovanni Testori, includendolo a pieno titolo fra i “pittori della realtà” della tradizione artistica lombarda - il Ceresa è stato considerato dalla critica soprattutto come ritrattista, per alcuni un po’ provinciale nel panorama europeo, tutt’altro che irrilevante invece per altri, come Mina Gregori che lo ritiene “il ritrattista più importante che si sia avuto in Italia settentrionale prima del barocco maturo”. Sulla scia della grande tradizione bergamasca del Moroni e del Cavargna confluiscono infatti, nella ritrattistica del Ceresa da un lato l’austera severità di Velazquez e della ritrattistica spagnola, da lui conosciuta attraverso i contatti con l’area milanese (allora sotto la Spagna), e dall’altra il naturalismo dei ritratti di Van Dyck, che ha influenzato tutta l’arte dell’Italia settentrionale e con cui il Ceresa è stato spesso confuso. L’insieme di queste influenze si fonde nella ritrattistica del Ceresa in una mirabile capacità di introspezione psicologica che giustifica ancora oggi il giudizio che ne diede a suo tempo F. M. Tassi, secondo cui i suoi ritratti “erano di una certa espressione e naturalezza che parevano vivi”. Il Ritratto di una dama di casa Sala e quello del pro-prefetto di Bergamo Bernardo Gritti, insieme a molti ritratti di membri della famiglia Pesenti, sono, del resto, da considerare fra i capolavori di tutta la ritrattista italiana del ‘600.

Oggi, tuttavia, le assonanze, rilevate da Testori, fra la sua arte sacra del periodo maturo e l’opera di Tanzio da Varallo e l’evidente influenza, a partire dal 1630, di Daniele Crespi - su cui ha insistito Mina Gregori - hanno contributo ad avviarne la riconsiderazione anche dell’arte religiosa e a riconoscere nella severa e controriformistica austerità sia dei suoi ritratti che delle sue pale d’altare, la radice stilistica di tutta l’opera dell’artista bergamasco che, come ha suggerito la stessa Gregori, va iscritta nel più vasto scenario del naturalismo secentesco.

Bibliografia

Francesco Maria Tassi, Le vite de’ pittori, scultori, architetti bergamaschi (1793), ed. critica a cura di Francesco Mazzini, vol. I, Milano, Labor, 1970; Giacomo Carrara, Giunte, Notizie, Memorie, in Francesco Maria Tassi, Le vite de’ pittori, scultori, architetti bergamaschi, ed. critica a cura di Francesco Mazzini, vol. II, Milano, Labor, 1970; Luigi Lanzi, Storia pittorica della Italia (1795-1796), a cura di Martino Cappucci, vol. II, Firenze, Sansoni, 1970; Roberto Longhi-Renata Cipriani-Giovanni Testori, I pittori della realtà in Lombardia, cat. della mostra, Milano, Amilcare Pizzi, 1953; Giovanni Testori, Carlo Ceresa ritrattista, in “Paragone”, n.39, 1953, ora in Giovanni Testori, La realtà della pittura. Scritti di storia e critica d’arte dal Quattrocento al Settecento, a cura di Pietro C. Marani, Milano, Longanesi & C., 1995, pp.333-340; Ugo Ruggeri, Carlo Ceresa, Bergamo, 1979; Mina Gregori, Ceresa, Carlo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 23, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1979; Luisa Vertova, Carlo Ceresa, cat. della mostra, Bergamo, Bolis, 1983; Luisa Vertova, Carlo Ceresa in I Pittori bergamaschi. Il Seicento, vol. II, Bergamo Bolis, 1984; Francesco Rossi, Carlo Ceresa, in Il Seicento a Bergamo, cat. della mostra , Bergamo, 1987; Mariolina Olivari, Ceresa, Carlo, in La pittura in Italia. Il Seicento, vol II, Milano, Electa, 1989; Francesco Frangi, Carlo Ceresa, in Pittura a Bergamo dal Romanico al Neoclassico, a cura di Mina Gregori, Milano, Cariplo, 1991.

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