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Mostra - La Valtellina di Livio Benetti

 

La Valtellina di Livio Benetti

Quando nell’immediato dopoguerra Livio Benetti approda dalla natia Trento in Valtellina, la sua arte, venata di echi della cultura artistica europea, esercita subito una profonda funzione di stimolo e di rivitalizzazione del povero e sonnolento ambiente artistico locale, finendo per plasmare, nel corso dei decenni successivi, anche il comune gusto artistico locale, come testimonia la capillare presenza delle sue opere in chiese, musei, sedi di enti pubblici e in moltissime collezioni private valtellinesi.
Alla retorica di una Valtellina delle vette e dei ghiacciai, al tremendum dell’ambiente naturale alpino, retaggio oleografico della cultura romantica ottocentesca, Benetti sostituisce il paesaggio naturale di mezza costa e di fondovalle e la montagna umanizzata dal lavoro e dalla pietas contadina.
Al volto umano l’artista trentino toglie l’espressione entusiastica e di trionfale ottimismo, così diffusa nei ritratti del Ventennio, per restituirgli quella pensosa e intimistica, nobilmente atteggiata e interiormente venata da una sottile inquietudine.
Al colore, infine, ridà il tono vivo, fantasioso e squillante della pittura en plein air, restituendo al paesaggio valtellinese la sua caratteristica luce. Ma questi indubbi elementi di novità, che perdurano nella sua pittura fino ai primi anni Settanta,  si fanno tuttavia, col tempo, alquanto ripetitivi.
Attento e naturalmente portato a un’arte di avanguardia, Benetti ha infatti circoscritto alla produzione più personale e di studio questa sua innata tendenza, sempre tenuta a freno e spesso sacrificata nella sua produzione ufficiale, dove cede frequentemente a un realismo arcaicizzante e talora di tono volutamente popolare, in omaggio all’idea che l’artista non deve mai superare l’orizzonte storico del gusto medio della comunità in cui vive e lavora e di cui vuole farsi espressione. Questa convinzione gli derivava dal suo profondo cattolicesimo di natura sociale -maturato nell’ambiente trentino e, ancor più, negli anni fiorentini a contatto con personalità come Papini e La Pira - che lo porterà a un ruolo sempre più attivo nella vita politica locale, prima come assessore alla pubblica istruzione e vicesindaco di Sondrio e quindi come presidente dell’Ente provinciale per il turismo.
Come nella pittura, anche nella sua produzione scultorea affiora, insomma, quella tensione irrisolta fra lo sperimentalismo formale delle avanguardie, cui Benetti spontaneamente tende, e il realismo tradizionalistico proprio del gusto comune, vissuto come un dovere morale. Questa tensione l’avvertì egli per primo, quando nel 1982, nella nota autobiografica premessa al volume “Livio Benetti, un artista trentino in Valtellina” scrive: ”E’ evidente che l’arte si nutre di queste esperienze avanguardiste e la libertà espressiva è una conquista da perseguire, ma[…] l’artista deve inserirsi nell’ambiente umano nel quale vive, deve sì scoprire, illuminare cose nuove, per renderle evidenti a chi non le sa vedere, ma deve anche trascinarsi al seguito un pubblico, […] una comunità che risponde, una platea che dialoga […] E’ questo discorso con la gente che spesso giustifica l’artista.”.