Nel
1961 la Banca Popolare di Sondrio riapriva la propria storica sede di Piazza
Garibaldi a Sondrio internamente rinnovata dall’architetto Luigi Caccia
Dominioni. Per l’occasione, lo stesso architetto aveva chiamato alcuni fra i
maggiori artisti italiani del tempo a dipingere la Valtellina, realizzando
all’interno della banca una preziosa pinacoteca moderna sul paesaggio
valtellinese che resta, nel suo insieme,
un unicum collezionistico di eccezionale
interesse per la rilevanza dei singoli artisti e per ciò che essi hanno
rappresentato nell’arte italiana del ‘900.
Ajmone,
Cantatore, Cassinari, Migneco, Morlotti, Sassu, Tamburi Tomea e Valenti, erano
stati nel ’38 a Milano tra i protagonisti della straordinaria stagione di Corrente; Lilloni e Spilimbergo erano
esponenti storici del gruppo dei “chiaristi”, come li definì nel ’40 Guido
Piovene per i colori chiari con cui reagivano alle cupe tonalità dell’arte
degli anni ’20; Menzio aveva fatto parte a Torino del Gruppo dei Sei, e Zigaina, amico di Pasolini, era stato nel Fronte nuovo delle arti con Morlotti e
Cassinari prima che questi formassero il Gruppo
degli Otto all’insegna della poetica “astratto/concreto”. Erano stati,
insomma, tutti esponenti di quelle avanguardie che, a partire dal 1930, avevano
rinnovato l’arte italiana e dato ad essa un respiro europeo andando a cercare i
propri modelli non più nella tradizione - come avevano fatto negli anni ‘20 gli
artisti di Novecento inseguendo un
ideale di autarchia artistica nazionale rivelatosi alla lunga soffocante - ma a
Parigi dove avevano appreso da Cézanne a costruire il quadro col solo colore,
da Matisse e Van Gogh a farne un uso libero e fantastico, da Picasso e dal
cubismo a deformare e decostruire la realtà, fino alla sua astratta
rappresentazione, per poterne meglio cogliere l’essenza.
A
spingerli su questa strada era stato, nei primi anni Trenta, Edoardo Persico,
che non fu solo quell’importante architetto e teorico dell’architettura che
ancora oggi ammiriamo, ma fu a Torino l’ispiratore del Gruppo dei Sei e a Milano il mallevadore di Corrente e dei chiaristi.
In
essi si condensa, insomma, un pezzo di storia dell’arte italiana del ‘900 e
delle sue avanguardie e le loro opere della collezione Bps costituiscono,
perciò, un documento importante, ma ancora poco conosciuto, del loro apporto
alla pittura di paesaggio, tanto più prezioso perché collettivamente incentrato
su un unico soggetto, la Valtellina e la Valchiavenna.
Del
paesaggio valtellinese questi artisti non cercano più di darci un’immagine
realistica, “dal vero” come nell’800, ma vogliono coglierne il senso passandolo
al setaccio della propria sensibilità per restituircelo nel loro singolarissimo
stile.
Abbiamo
così la Valtellina di Sassu, di Ajmone o di Zigaina, ma anche la Valtellina
mediterranea di Cantatore, quella siciliana di Migneco, quella friulana di
Tomea, quella sabauda di Menzio, quella parigina di Tamburi e, insieme, quella
chiarista e lombarda di Lilloni e Spilimbergo, quella esistenziale di Morlotti,
quella ermetica di Cassinari e quella intensamente astratta di Valenti. Dopo
essere stato soggetto elettivo del naturalismo lombardo nel secondo ‘800, il
paesaggio valtellinese entrava così, con queste opere, nell’arte moderna del
‘900.