
Se
c’è una caratteristica che distingue l’arte del Novecento è la straordinaria
proliferazione di correnti e di stili, privi di qualsiasi denominatore comune se
non quello della più assoluta libertà creativa.
Già
nella seconda metà dell’Ottocento, la pittura en plein air degli Impressionisti era risuonata come un grido di liberazione
dalla gabbia delle accademie e un respiro di libertà artistica in un’Europa che
reclamava anche quella politica e civile per gli individui e le nazionalità.
Ma
è nel Novecento che l’arte cessa definitivamente di essere mimesis, imitazione della natura, e alla tirannia del disegno si
sostituisce definitivamente la creativa libertà del colore. Il baricentro dell’opera
d’arte si sposta così sempre più da ciò che è rappresentato, all’occhio che lo rappresenta,
in un processo che conduce l’artista sempre più all’interno di se stesso, nei
recessi inconsci del proprio Io, da cui nascono le infinite forme dell’arte
moderna.
L’arte
italiana, dopo aver cercato a lungo nella propria tradizione e nel proprio
passato una via verso la modernità, dopo il 1945 si sarebbe aperta anch’essa allo
sperimentalismo delle correnti del postimpressionismo
europeo e dell’arte americana, riuscendo a inserirsi nel panorama artistico internazionale
con la forza e l’originalità dell’opera di molti suoi artisti.
Alcuni
di questi artisti, come Guttuso, Guccione, Pericoli, Schifano, Somaini, Messina,
Music, Ferroni, Guido Pajetta e Giovanni Thoux, segnano con la loro presenza il
capitolo novecentesco delle collezioni d’arte della Banca Popolare di Sondrio.
In
essi si esprimono alcune delle tendenze più profonde dell’arte del Novecento, a
partire da quella idealizzante che mira a tradurre la forma in metafora, come
in Music, in Murer o in Giovanni Thoux per citare artisti per il resto
profondamente diversi tra loro, o il colore in simbolo come in Pajetta e in
Guttuso, fino a quella che nel visibile cerca l’invisibile, come in Guccione o
in Ferroni, in un perenne anelito all’assoluto.
Proprio
Ferroni, d’altronde, ci mostra come al centro dell’arte del Novecento, ci sia
quella stridente contraddizione tra esistenza e bisogno di assoluto da cui
nasce il malessere esistenziale dell’individuo moderno che ritroviamo, ad
esempio, alla base dell’opera di Pajetta o di Schifano.
Anche
quando l’arte del ‘900 riscopre temi tradizionali come il ritratto, l’enigma
dell’esistenza resta sempre in primo piano, come nei volti apparentemente semplici
di Tullio Pericoli o nel modernissimo classicismo dei busti di Francesco Messina.
Nella
scultura informale di Somaini, stilisticamente agli antipodi di quella di
Messina, la materia scultorea sembra invece costituirsi da sé, per sua stessa
forza vitale, in forme sempre frammentarie perché nel frammento si racchiudono
le infinite possibilità di trasformazione della materia, cioè la sua vita.
Nelle
tre sale della mostra virtuale, dedicate alla pittura, alla scultura e alla
grafica, queste tendenze dell’arte italiana del Novecento trovano il loro
approfondimento attraverso le opere degli artisti presenti nelle collezioni
della Bps.