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Mostra - Il volto e la figura (1) - Dal Quattrocento all'Ottocento

Sala 2 - Il Seicento

 

Il ritratto, espressione per eccellenza della individualità, che con Michelangelo, Leonardo e Raffaello, aveva raggiunto nel Cinquecento vertici inarrivabili di umana espressività e di classica armonia, acquista nell’arte barocca del Seicento una mossa e scenografica teatralità.Il ritratto di giovane gentiluomo attributo a Ceresa, pur nella sobria misura della grande ritrattistica bergamasca, rivela nel tutta quella agitata vitalità interiore dell’uomo barocco non solo nell’espressione sottilmente ambigua  del  volto, per metà in luce e per metà in ombra, ma nei numerosi dettagli (le scomposte ciocche di capelli sulla fronte, il ritorcersi del collare, ecc. ) che ne mettono in luce il carattere giovanile. Anche l’espressione persa e immalinconita del volto dai tratti fortemente marcati nell’Autoritratto di Bourdon, trae il suo significato dallo scenografico aprirsi del nero tendaggio sul paesaggio e la colona, ma soprattutto dalla tavolozza e dai pennelli che tiene in mano, che ne svelano la malinconia d’artista e, last but not least, dall’abito che ne denuncia la spavalderia del carattere. Ai due ritratti, che evidenziano il carattere pienamente profano raggiunto nella rappresentazione del volto, si giustappongono il Salvator Mundi del lombardo Daniele Crespi e il san Carlo in preghiera di anonimo artista del Seicento lombardo, in cui appare chiaramente come anche l’arte di soggetto sacro e religioso abbia ormai nel Seicento pienamente assimilato i modi dell’arte profana nel volto e nella figura. Il volto di Cristo di Daniele Crespi è un ritratto in cui solo gli occhi rivolti al cielo e il piccolo mappamondo sormontato dalla croce che tiene in mano rivelano la sua missione di Redentore, mentre Il San Carlo in preghiera, che ripete uno stereotipo secentesco della figura del santo è un teatrale exemplum morale rivolto ai fedeli.