Nelle due opere presentate in questa sala c’è una visione rara del fiore, visto nel suo rapporto intimo con la terra. Le tre piante di granturco valtellinese stanno saldamente piantate sulla terra, avvolte nel loro verde, labirintico fogliame che disegna un’impenetrabile foresta, priva di cielo. Il senso iniziale di intimità e di umida frescura, cattura lentamente così il’ spettatore come in una prigione senza via d’uscita e la fresca parete di verde diventa presto “una parete d’angoscia”, come nelle migliori opere di Morlotti. Opposta la rappresentazione che Giancarlo Vitali dà della fossile pianta, ripresa da un disegno del grande naturalista lecchese dell’Ottocento, di Antonio Stoppani. La Rabdophjllia longobardica, se ne sta infatti chiusa nelle profondità della terra, immobile e fissa come una sfinge nello splendore pietrificato della sua vita fossile, immagine pietrificata dell’al di qua o, forse, dell’al di là.