Fernando Valenti costituisce la figura più originale, tormentata e complessa nel panorama dell’arte valtellinese lungo il trentennio che va dal 1970 al 2000.Autodidatta di formazione, malgrado i corsi serali di nudo seguiti all’accademia di Brera, estraneo all’ambiente artistico locale, da cui si mantenne sempre abbastanza appartato, matura la sua vocazione artistica nel corso del suo lavoro da operaio in un’acciaieria milanese come reazione e antitesi alla fabbrica, che lascia quando decide di dedicarsi alla pittura, tornando a vivere con la famiglia in Valtellina.Ma il trauma esistenziale della fabbrica col suo carico di alienazione e di annientamento e spossessamento dell’individualità, rimarrà indelebile fino all’ultimo nella sua pittura come una condanna e presentimento di morte segnandone fortemente lo stile e i contenuti.Il suo è un universo caotico e meccanico di viti, catene, bulloni, macchine e congegni di ogni tipo entro cui la vita di cani, gatti, uccelli, in cui l’artista adombra sé stesso, resta impigliata, prigioniera, senza via d’uscita. Un universo da incubo, che trova nella deformazione espressionistica e nell’uso antinaturalistico del colore il suo coerente linguaggio artistico. Il disegno è dissolto, le forme sono lacerate, spezzate, ferite e penetrate dal grigio funereo delle viti, delle catene metalliche, dei bulloni, percorse al loro interno da un ultimo fremito azzurro di vita, ridotte a un caotico ammasso di frammenti. Un mondo in frantumi, espressione del dramma esistenziale dell’artista, ma oggi per noi metafora profetica del mondo in cui viviamo, che Valenti, da autentico artista, riesce a sublimare in un fantastico gioco di pure giustapposizioni cromatiche. Una pittura di questo tipo non poteva che cercare e trovare a Milano il suo pubblico e la sua necessaria attenzione critica. Ed è appunto nell’ambiente artistico milanese che, pur lavorando in Valtellina, Valenti si fa lentamente e stentatamente largo, a partire dagli anni Settanta, grazie soprattutto a un dinamico mercante d’arte, Augusto De Marsanich e alla sua galleria Il Cannocchiale di Brera. che ne sarà sempre il fondamentale punto di appoggio.Se ne 1988 il Premio “A. Roncaglia” ne consacrerà la carriera d’artista, è però nel 1986 che culmina la fase più importante della sua produzione pittorica. In quello stesso anno Valenti tornerà ad esporre in Valtellina in cui da allora la sua presenza, nel corso degli anni Novanta, sarà regolare e costante sostenuto anche dall’eco che le sue mostre hanno nella stampa locale.La sua attività artistica si interrompe bruscamente nel 1997, quando scopre di essere affetto dal mesotelioma pleurico, contratto respirando l’amianto negli anni di fabbrica, che nel giro di tre anni lo condurrà alla morte. Una tragica fine che svela il significato profondo della sua pittura come presentimento di morte e di cui il figlio Stefano ha narrato i momenti salienti nel commovente romanzo La fabbrica del panico (Feltrinelli, 2013), Premio Campiello Opera Prima 2014, Premio Volponi Opera Prima 2014, Premio Nazionale di narrativa Bergamo 2015.