La montagna come moderno soggetto artistico figurativo nasce col Romanticismo. Se l’illuminismo aveva scoperto le Alpi come terreno di interesse scientifico, è col Romanticismo, e con Rousseau che ne è il capostipite, che la montagna diventa luogo del sentimento, immagine dell’innocenza e della felicità originaria dell’uomo che vive a stretto contato con la natura, paesaggio in grado di toccare e far vibrare nel profondo tutte le corde del cuore umano.È un atteggiamento contemplativo, quello dell’artista romantico, in cui si esprimono allo stesso tempo la sottomissione alla grandiosità della natura, alla pari del montanaro che ne subisce e ne accetta le leggi, e l’orgoglio nel dominarne la potenza con la sola forza rappresentativa dello sguardo e dell’arte.E questo sostrato romantico permane inalterato in tutta la pittura dell’Ottocento anche quando, nella seconda metà del secolo, diventa preminente, più che la forza del sentimento, il bisogno di verità nella rappresentazione realistica della natura, come nel caso del realismo lombardo, o nella rappresentazione della propria percezione artistica di essa, come nel caso del Divisionismo o dell’Impressionismo. In entrambi i casi prevale la pittura dal vero, en plein air, come fu chiamata, in cui dominante è l’immediatezza della sensazione, come garanzia della sua verità. L’artista cerca, insomma, non più solo il contatto visivo, ma quello fisico diretto con la natura. La percorre a piedi, vi si immerge, si rifonde totalmente in essa anima e corpo.Oggetto della rappresentazione diventa allora non più e non tanto la realtà esterna, ma la sensazione, appunto, l’impressione che di essa resta nell’animo dell’artista.La montagna e il suo paesaggio si spiritualizzano, per così dire, si trasformano cioè sempre più in un’immagine interiore. Ed è questa immagine interiore, questo residuo spirituale della vista e dell’occhio ciò che nell’arte contemporanea rimane della montagna e del paesaggio alpino fino agli esiti più estremi della pittura astratta.Questo sintetico schizzo storico-artistico fa da premessa alla nuova mostra virtuale La montagna e il paesaggio alpino nelle collezioni d’arte della Bps, appena presentata sul sito di Popsoarte.Vi possiamo puntualmente seguire gli sviluppi, sopra delineati, della rappresentazione artistica della montagna e del paesaggio alpino attraverso le incisioni di Johann Jacob Meyer, che ci dà una lettura romantica della montagna valtellinese, i dipinti di Achille Befani Formis, Silvio Poma, ed Emilio Sommariva, tre epigoni del realismo lombardo fra Ottocento e Novecento che fissano sulla tela l’atmosfera del paesaggio alpino nel tentativo di restituircene l’intima sensazione fisica, le tele di spettacolare impatto visivo di Paolo Punzo, il pittore-alpinista che spinge il suo sguardo sulle alte vette e sui ghiacciai della Valtellina facendoci respirare l’atmosfera sottile e rarefatta dell’alta quota dove la potenza della natura si incontra con l’audacia dell’alpinista, fino ai paesaggi alpini di Sassu, Orfeo Tamburi, Giancarlo Vitali e Italo Valenti, in cui la montagna si sgretola nella molteplicità dei linguaggi artistici contemporanei, dal postimpressionismo all’astrattismo.Diverso il panorama dell’arte valtellinese di paesaggio, raccolta nell’ultima delle cinque sale di cui si compone la mostra.Il paesaggio alpino appare tardi nell’arte valtellinese. Se escludiamo qualche raro artista come Gerolamo Chiesa o Luigi Bracchi, è sostanzialmente nella seconda metà del Novecento che si forma nella valle un discreto nucleo di artisti che dedicano buona parte della propria produzione alla pittura di paesaggio.A questo nucleo appartengono i cinque artisti (Livio Benetti, Francesco Carini, Felice Cattaneo, Angelo Vaninetti e Valter Vedrini) presenti in questa sala, ognuno con una propria cifra stilistica che in Benetti e in Cattaneo appare quasi sempre ispirata a un naturalismo che si nutre talora di echi impressionisti, in Vaninetti si alimenta di un montanaro e personalissimo primitivismo vagamente espressionista, e solo in Francesco Carini e Valter Vedrini raggiunge punte di sorprendente modernità.In tutti, però, la montagna e il paesaggio alpino portano sempre una traccia evocativa dell’attività dell’uomo. Non c’è paesaggio in questi artisti in cui non appaia un nucleo di case rurali, una baita, un segno della presenza umana con cui il paesaggio alpino di montagna si fonde e fa tutt’uno. Non li interessa l’alta quota o la montagna in sé, ma solo la montagna di fondo valle o di media valle, la montagna come habitat dell’uomo, presente tuttavia quasi sempre soltanto attraverso i segni della sua attività, il che tinge le opere di questi artisti valtellinesi di un immancabile senso di malinconia.