Nella seconda metà del Novecento il panorama dell’arte valtellinese si arricchisce e si rinnova grazie a un gruppo di artisti in grado di imporre nuovi temi e nuove forme espressive.Questo rinnovamento è particolarmente evidente nella pittura di paesaggio dove alla retorica della vetta come simbolo di forza e di purezza della natura, incarnata da artisti come Paolo Punzo, si sostituisce la progressiva scoperta del paesaggio umano di fondovalle e delle valli laterali.Qui i segni della presenza dell’uomo si intrecciano a quelli della natura in un dialogo teso ad esaltare l’atmosfera dei piccoli nuclei rurali e delle antiche abitazioni contadine che l’incipiente modernità, relegandole ai margini del tempo, riveste di un’aura di poetica malinconia.Nasce così un nuovo tipo di paesaggio che si caratterizza non tanto per ciò che rappresenta, ma per la forza allusiva ed evocativa di ciò che non rappresenta.È infatti un paesaggio rurale dove l’uomo è per lo più del tutto (o quasi) assente, ma proprio questa assenza ne rende ancora più intensa la presenza nelle tracce e nei segni che la vita vi ha disseminato.In questo tipo di paesaggio, una baita, un gruppo di case contadine, dei panni stesi al sole, una barca solitaria sul lago, proprio per la loro capacità evocativa di un’assenza, si intridono di umori fortemente umani e acquistano un’intensità espressiva e una forza poetica in grado di raccontare meglio di qualsiasi altra cosa, la natura, il lavoro, il tempo e l’atmosfera di un luogo.