I quattro ritratti presentati in questa sala documentano un aspetto caratteristico della cultura valtellinese, la sua propensione alla scienza. Figura-simbolo di questo spirito scientifico può essere considerato - e tale è spesso considerato - l’astronomo Giuseppe Piazzi (1746-1826), l’abate teatino di Ponte in Valtellina, qui raffigurato nel bel mosaico di Livio Benetti. Piazzi, tuttavia, svolse tutta la propria attività scientifica lontano dalla Valtellina, a Palermo, dove scoprì il piccolo pianeta che chiamò Cerere Ferdinandea in onore del re delle due Sicilie. L’astronomia, d’altronde, non è stata fra le scienze più coltivate nella cultura valtellinese, dove, invece, ci si imbatte spesso, specie a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, in figure eminenti di naturalisti, botanici, zoologi, mineralogisti e geologi. Da questo punto di vista più rappresentativa risulta senz’altro la figura dell’abate Antonio Stoppani (1824-1891) che, sebbene lecchese, fece della Valtellina uno dei suoi campi prediletti di studio, come testimoniano le quattro serate dedicate al racconto della storia naturalistica della Valfurva e dell’alta Valtellina ne Il Bel Paese, il libro che fece conoscere agli italiani le bellezze naturali del proprio territorio e che, alla pari delle Avventure di Pinocchio di Collodi e di Cuore di De Amicis, contribuì a formare la coscienza civile della gioventù italiana postunitaria. Nella magnifica incisione qui esposta, Giancarlo Vitali ritrae l’abate lecchese in una posa, ricavata da una storica fotografia, che ne mette in rilievo la straordinaria umanità. Ma il suo volto emerge dalla grande massa scura della veste talare con il litico chiaroscuro di un fossile, incarnandone nella stessa fisionomia l’inesausta passione geologica.Allo stesso spirito scientifico va ascritta la presenza nella cultura valtellinese di una personalità come quella di Fabio Besta (1846-1922), socio fondatore della Banca Popolare di Sondrio e padre della ragioneria italiana che, come storico docente alla Ca’ Foscari di Venezia, portò a standard di sviluppo internazionali. Il bassorilievo in bronzo della scultrice valtellinese Lydia Silvestri, esposto a Sondrio nella sala conferenza della Bps a lui intitolata, lo ritrae ultrasessantenne, riprendendone il volto da una nota foto d’epoca.Fabio Besta, del resto, si iscrive nella folta schiera di economisti valtellinesi di rilievo nazionale, qui simboleggiata da una delle più note figure del Novecento valtellinese e italiano, Ezio Vanoni, che, prima di essere lo storico ministro delle Finanze dei governi De Gasperi, fu, con Pasquale Saraceno e Sergio Paronetto, esponente di quella che Francesco Forte ha definito la scuola di Morbegno, che nel secondo dopoguerra è stata il fulcro teorico dell’economia sociale di mercato, cui sono ispirati la moderna dottrina sociale cattolica e il Codice di Camaldoli che ne fu espressione, redatto in larga parte dai tre economisti morbegnaschi.All’artista milanese Simone Gentile dobbiamo, appunto, due ritratti di Vanoni, uno in veste di attivo ministro delle Finanze, esposto nella prima sala, l’altro, qui esposto, in posa più informale e riflessiva da economista e intellettuale.Questo assommarsi e sovrapporsi della personalità politica a quella intellettuale è, del resto, un tratto comune a buona parte della cultura valtellinese. Basti pensare, al di là di Vanoni, a Luigi Torelli o allo stesso Luigi Credaro, che all’uomo politico univa il filosofo caposcuola del pensiero pedagogico italiano.