(Traona 1931 - Morbegno 2000)
Artista valtellinese
Fernando Valenti nasce a Traona, in provincia di Sondrio, il 10 agosto 1931.
All’inizio degli anni Cinquanta, mosso da una vaga inquietudine esistenziale, trova impiego a Milano come operaio alle acciaierie Breda e presto si trasferisce nel capoluogo lombardo.
La dura esperienza di fabbrica, col suo carattere alienante, ne segnerà profondamente e traumaticamente la personalità, entrando in lacerante conflitto, alla fine degli anni Cinquanta, con una vocazione artistica vissuta come una liberazione e segnata, fin dall’inizio, da un livido e angoscioso pessimismo che si traduce sulla tela in uno spigoloso e dissacrante espressionismo ispirato alla pittura di Rouault e di Picasso.
Abbandonata la fabbrica, dal 1960 al 1962 frequenta la scuola libera del nudo di Brera nel tentativo di dedicarsi alla pittura, incoraggiato anche dalla giovane moglie, Giuliana Guzzon, da cui nel ’64 ha il suo unico figlio, Stefano.
Comincia così a partecipare alle prime rassegne collettive classificandosi terzo al premio “Città di Milano” del 1966 e vincendo l’anno successivo il “Premio di pittura A. Rossini”, organizzato dalla Galleria Velazquez. Ma sotto il peso delle persistenti difficoltà economiche, nel ’67 si trasferisce con la famiglia in Valtellina, a Traona, suo paese natale, dove lavora mantenendo uno stretto rapporto con gli ambienti artistici milanesi di Brera.
Fondamentale sarà per Valenti l’incontro, all’inizio degli anni Settanta, con Augusto De Marsanich, l’estroso mercante d’arte impegnato a lanciare nella sua Galleria Il Cannocchiale di via Brera 4, in alternativa ai nomi più affermati, un gruppo di giovani e promettenti artisti, insieme all’amico e critico d’arte Flavio Guenzi, che di Valenti sarà il critico più acuto.
Ed è proprio nel corso della sua prima mostra alla Galleria Il Cannocchiale, nel marzo 1971, che le sue opere attirano l’attenzione di Dino Buzzati, allora critico d’arte al Corriere della sera oltre che affermato scrittore, che lo incita a continuare sulla via intrapresa, malgrado le difficoltà e le incomprensioni, confermandolo definitivamente sulla propria scelta di vita.
Prende così avvio una carriera artistica che, grazie anche alla rete di piccole gallerie intessuta in quegli anni da De Marsanich, lo porta ad esporre a Bergamo, Parma, Piacenza, Rho, Riva del Garda, Voghera, Milano, ma anche all’estero a Londra, Caracas, Ginevra, sostenuto da critici come Liana Bortolon, Mario Lepore, Fabio Guenzi, Everardo Dalla Noce. Enzo Fabiani, Lucio Cabutti.
Questa intensa attività espositiva culmina nell’ottobre 1986 con la presentazione a Milano, alla Galleria Il Cannocchiale, della fortunata rassegna “il demone del gioco”, un’originale e personalissima reinvenzione della tradizionale iconografia delle carte da gioco (re, fanti, regine, assi) la cui eco è amplificata dalla contestuale pubblicazione da parte dell’editore Dal Negro di un artistico mazzo di carte con la riproduzione dei dipinti di Valenti.
Quell’anno Valenti, dopo una lunga assenza, torna a esporre in primavera in Valtellina con una importante antologica al Palazzo della Provincia, replicata in autunno al Palazzo Pretorio di Chiavenna.
Due anni dopo, nel 1988, giunge anche il riconoscimento più prestigioso, il Premio “Aldo Roncaglia” alla XXI Biennale di San Felice sul Panaro.
Nel corso degli anni Novanta è ancora De Marsanich con la sua Galleria Il Cannocchiale a promuovere con successo a Marbella, in Spagna, una serie di mostre dell’artista che nell’autunno del 1997 allestisce una propria personale nel paese natale di Traona, seguita l’anno dopo da una ricca antologica a Sondrio alla Sala Ligari del Palazzo della Provincia, in cui l’artista sintetizza vent’anni di lavoro.
È il congedo dal suo pubblico, dall’arte e dalla vita. L’artista infatti scopre di essere gravemente affetto da un mesotelioma pleurico, contratto negli anni del lavoro in fabbrica respirando polvere d’amianto, che pochi anni dopo, nel 2000, lo conduce alla morte.
La fabbrica, la fredda e disumana prigione d’acciaio da cui l’arte lo aveva liberato, ma che della sua pittura era sempre rimasta il demone ossessivo, tornava inesorabile, decine di anni dopo, a segnarne il tragico destino, come ha narrato il figlio Stefano nel bel libro “La fabbrica del panico” (Feltrinelli, 2013).
Senza questo retroterra esistenziale, non si comprende il drammatico espressionismo della pittura di Valenti. La sua è una visione negativa e pessimistica della vita. Le sue immagini rappresentano una realtà screziata, un mondo ostile, lacerato, in frantumi, sentito come pericolo, che prende vita e vigore artistico sulla tela dall’incastro cromatico di figure e forme astratte, in cui affiorano continuamente ingranaggi, ruote dentate, bulloni, che ne accentuano la freddezza meccanica, e in cui l’artista, al pari dei suoi gatti, dei suoi cani e dei suoi uccelli, si muove come un animale in trappola, ferito. È, insomma, quello di Valenti, un grido di dolore in cui si esprime un acuto disagio esistenziale che diventa oggi metafora del precario e caotico mondo attuale.
Mario Lepore, Fernando Valenti, dépliant della mostra, Bergamo, Galleria Michelangelo, gennaio 1972; Augusto De Marsanich, Fernando Valenti, dépliant della mostra, Milano Galleria il Cannocchiale, febbraio 1973; Liana Bortolon, Fernando Valenti, cat. della mostra, Milano, Galleria Il Cannocchiale, marzo 1980; Liana Bortolon, Fernando Valenti, Milano Galleria Il Cannocchiale, 1986; Flavio Guenzi, Valenti, il demone del gioco; Corriere d’informazione, ottobre 1986; Flavio Guenzi, La pittura sofferta di Fernando Valenti, in «Eco Delle Valli», 22 aprile 1986; Everardo Dalla Noce, Fernando Valenti, cat. della mostra, Macerata, Pinacoteca civica, settembre 1988; Enzo Fabani, F. Valenti «Enigmi e verità», cat. della mostra, Milano, Galleria Il Cannocchiale, 1992; Donatella Micault, Fernando Valenti, espressionismo e colore, in «La Provincia di Sondrio», 13 ottobre 1997; Stefano Valenti, La fabbrica del panico, Milano, Feltrinelli, 2013.