(Albosaggia 1944 - )
Artista valtellinese
Nata ad Albosaggia nel 1944, Alessandra Romeri ha coltivato sempre in forma privata la propria vocazione artistica, incurante di mostre e di qualsiasi altro rapporto con la critica e con il pubblico, malgrado la stessa formazione da autodidatta avrebbe dovuto spingerla a cercare proprio nella ricezione sociale della sua opera la conferma del proprio valore artistico Questa sorta di pudore comunicativo, insolito, ma non unico nel panorama dell’arte femminile valtellinese, è riconducibile non solo e non tanto a un’innata modestia del carattere, quanto, per sua stessa ammissione, a una concezione della pratica artistica come intima espressione di sé che si appaga nella raggiunta sensazione interiore di piena aderenza del proprio sentimento visivo della realtà alla sua rappresentazione sulla tela, senza bisogno di ulteriori conferme.
Una vocazione artistica senza risvolti sociali, dunque, ignorata spesso dagli stessi colleghi di lavoro - la Romeri è stata contabile alla Pirovano/Banca Popolare di Sondrio fino alla pensione – e nota per lo più solo alla ristretta cerchia degli amici, dei familiari e dei privati collezionisti delle sue opere.
Gran parte di queste, perciò, formano ancora oggi l’arredo delle pareti della sua casa di Albosaggia e si deve solo alla intraprendenza della sorella Giuseppina, anch’essa dipendente della Banca Popolare di Sondrio, se oggi l’istituto annovera nella sua collezione una diecina di opere di questa artista.
La pittura della Romeri è una pittura semplice e senza tempo. Semplici sono anche i suoi soggetti: una baita, uno scorcio rurale, due betulle, un cespuglio fiorito, un gruppo di case al sole, un paesaggio innevato, un gruppo di cime, a testimonianza, in questo caso, di una passione alpinistica perseguita da sempre con l’identico, tacito impegno di quella artistica.
Pochi e rari i ritratti a matita, a olio, a carboncino, ma tali da far rimpiangere che abbia presto abbandonato il genere, anche se, come racconta, è stato attraverso il ritratto che a quindici anni ha scoperto la sua innata tendenza al disegno e alla immediata riproduzione di ciò che vedeva.
Questo spiccato tratto realistico e fortemente mimetico, imitativo della realtà emerge nettamente nella sua pittura che si sostanzia di immagini semplici all’apparenza e quasi fotografiche (e la fotografia ha un ruolo di appunto visivo per la Romer) se non fosse per la consumata abilità con cui, lavorando di spatola e pennello, la Romeri riesce a rendere con tattile evidenza la tormentata consunzione del legno macerato dal tempo nelle baltresche contadine, la scrostata superficie della calce sui muri delle baite, la nodosa ruvidezza della bianca corteccia di una betulla, l’irregolare profilo geometrico delle ardesie sui tetti, il morbido candore della neve fresca su un prato. Pochi, sintetici colpi di colore spatolato le bastano per dare la tattile sensazione visiva di un albero vicino o di un bosco lontano.
Nessuna ricerca analitica, nessuna acribia descrittiva nella sua pittura, solo una sintesi cromatica che punta tutto sulla percezione visiva dell’osservatore che ha la sensazione di vedere ciò che non è descritto, ma suggerito dal colore e di entrare con disarmante semplicità nel quadro.