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Immagine dell'opera

Vittoria Ligari

(Milano 1713 - Sondrio 1783)

Mosč fanciullo spregiatore del Faraone

Dimensioni

cm 42x59

Tecnica

Olio su tela

Firma

Provenienza

Collezione Ghislanzoni Morbegno, 1983

Esposizioni

Commento

Il piccolo Mosé, a destra, in braccio alla figlia del Faraone avvolta nel principesco manto rosso, calpesta con il piede la corona regale che il Faraone ha appena cercato di fargli indossare. Il sovrano, sulla sinistra, seduto sul suo trono, in abiti più romani che egiziani, indica pacatamente con la mano sinistra il gesto di disprezzo del fanciullo, mentre l’anziano con il capo coperto, che sta al centro della composizione, ha già sfoderato il pugnale e sta per vendicare l’offesa, ma la figlia del Faraone lo ferma con un gesto deciso della mano destra.

L’episodio non è riportato nella Bibbia e la sua fonte letteraria certa, rintracciata da Laura Meli Bassi, è il Flos Sanctorum di A. De Villegas, presente nella biblioteca ligariana, che riporta l’episodio narrato da Giuseppe Flavio nelle Antichità giudaiche: “essendo costui [Moisè] alla presenza del re e della sua figliola - scrive il De Villegas - […] essendo il re molto contento della sua bellezza e della sua presenza, essendo di tre anni, burlando con lui gli pose in capo la sua propria corona e […] Moisè, molto adirato, la prese e gettolla a terra.”, il che fu interpretato da tutti e dallo stesso Faraone come un cattivo presagio.

Nella rappresentazione che ne dà Vittoria Ligari, però, il senso drammatico e profetico dell’episodio si perde, se non fosse per il gesto della figlia del Faraone che ferma la mano del vecchio che col pugnale si scaglia contro il fanciullo. Il tono generale, piuttosto, nota Laura Meli Bassi, è quello dell’aneddoto familiare in cui il gesto di disprezzo di Mosé passa quasi in secondo piano e ad esso ci riconduce solo la mano sinistra del Faraone che lo indica. Lo stesso Faraone, del resto, ha più l’atteggiamento di un santo in una sacra conversazione che quello della maestà dissacrata. Per il resto lo schema compositivo è molto semplice e l’intonazione cromatica degli ocra e del blu nell’abito del Faraone, richiama molto da vicino quella tipica di Pietro Ligari.

Anche questa tela è probabilmente la stessa collocata in origine, come riferisce il Quadrio, nella casa Odescalchi all’Olmo di Como, insieme a quella raffigurante Mosé salvato dalle acque. I due dipinti, che secondo la Meli Bassi potrebbero essere anche i bozzetti o i modelli delle tele di cui parla il Quadrio, passarono insieme da casa Odescalchi prima nella collezione Gavazzeni di Talamona e successivamente nella collezione Fanchi di Morbegno e nella collezione Ghislanzoni sempre di Morbegno da cui pervennero nel 1983 nella collezione della banca Popolare di Sondrio.

Seguendo l’ipotesi da noi avanzata per la lettura iconografica del Mosé salvato dalle acque i due dipinti sarebbero uniti da uno stesso tema, quello di Mosé fanciullo che disprezza istintivamente i segni dell’oppressione egiziana del suo popolo (la nutrice egiziana, il Faraone) prefigurando il suo destino di liberatore del suo popolo, immagine storica di un'altra liberazione, quella spirituale dalla colpa originaria, che compirà un altro Redentore, lo stesso figlio Cristo.

Note