(Meilen 1787 - Zurigo 1858)
mm. 142 x 191
Acquaforte e acquatinta
In basso a sin.: J. J. Meyer del. – a destra: R. Bodmer sc.
Sul terrazzo naturale di Trafoi, la vista si apre d’improvviso sulle vedrette del Nashorn (Corno del Naso) e di Trafoi, divise dall’emergente Nashornspitze, a sinistra dell’imponente sperone roccioso del Madastch che svetta fendendo in alto le nubi e spingendosi in profondità con la sua lunga cresta di cime.
Tutta la veduta vive della giustapposizione fra l’agreste e bucolica serenità del primo piano, con i prati che si distendono in ondulati declivi attorno al piccolo nucleo di case lambito dalla strada su cui transita un gregge di capre e di mucche, e la spettacolare imponenza dei ghiacciai e delle cime che fanno loro corona, a partire dalla massiccia dorsale del Madatsch fino alle più lontane vette innevate della Thurwieser, della Trafoier, della Schneeglocke (Cima Campana) e della Tuckett che impropriamente Meyer chiama “Fine del mondo”, attribuendo ad esse il fascinoso toponimo del ghiacciaio, “End der Welt”, che dall’Ortler scende verso l’opposta Valsolda.
I due piani della veduta, tuttavia, non appaiono in stridente contrasto, ma si integrano nello sguardo che, misurandone tutta la distanza, si distende nella rassicurante lontananza in cui le cime e i ghiacciai perdono ogni connotato minaccioso per trasformarsi in visione suggestiva che supera l’immaginazione e rimanda all’idea di infinito.
Nutrito di cultura romantica, Meyer sembra qui tradurre visivamente quanto scriveva nel 1690 Thomas Burnet, uno dei primi scrittori in cui l’antico e atavico terrore delle montagne si trasforma nella moderna estetica del sublime. “I più grandi oggetti della Natura sono, ritengo, i più piacevoli a guardarsi, e dopo l’ampia volta del cielo e le illimitate regioni popolate dalle stelle, non c’è nulla che io contempli con tanto piacere quanto il vasto mare e le montagne. C’è qualcosa di augusto e di maestoso nel loro aspetto, qualcosa che ispira alla mente grandi pensieri e passioni. In simili circostanze, il pensiero si eleva naturalmente a Dio e alla sua grandezza, e tutto ciò che abbia anche solo l’ombra o l’apparenza dell’Infinito, come l’ha ogni cosa che eccede la comprensione, riempie e sopraffà col suo eccesso la mente proiettandola, in una sorta di piacevole stupore e ammirazione.” (Thomas Burnet, L’idea sacra della Terra, 1690).