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Immagine dell'opera

Nino Lupica

(Scordia (CT) 1938 - vivente )

Attilio con il conte zio

Dimensioni

cm. 69 X 48,5

Tecnica

Acquarello e china

Firma

Lupica \'84

Provenienza

Esposizioni

Commento

Fra Cristoforo si rivela un ostacolo troppo forte inattaccabile per don Rodrigo sulla via del proprio capriccio. Deve esser rimosso, in modo indolore dai suoi stessi superiori. Attilio, il cugino di don Rodrigo, si incarica per questo di chiedere l’intervento del potente conte-zio.  

Il colloquio fra i due è un capolavoro di mistificazione della verità in cui fra Cristoforo diventa il persecutore di don Rodrigo (“C’è da quelle aperti un cappuccino che l’ha con don Rodrigo…) a causa  di “una contadinotta di là” che “costui protegge, dirige, … e ha per questa creatura  una carità, una carità… non dico pelosa, ma una carità molto gelosa, sospettosa, permalosa”.  Lo scopo è solleticare l’orgoglio del potente zio che abbocca subito “Mi immagino che non sappia che don Rodrigo è mio nipote”, dando il d estro al perfido nipote di accendere nell’animo dello zio  la vampa dell’orgoglio ferito (“se lo sa! Anzi questo è quel che gli mette più il diavolo addosso”).

La sfida a don Rodrigo di fra Cristoforo, trasformato in equivoco protettore di giovani contadine , diventa così una sfida diretta allo stesso conte-zio che, infatti, otterrà  dal provinciale dei cappuccini, in un altro celebre dialogo del romanzo, il trasferimento del frate.

Nell’immagine di Lupica, tutto questo diventa implicito, nono vien rappresentato, ma viene straordinariamente sintetizzato e, per così dire interiorizzato nelle figure dei due protagonisti.

Attlio e il conte zio sono semplicemente accostati. I loro vistosi cappelli piumati, ne dicono già  la condizione. Il perfido nipote è sinistramente chiuso nel suo mantello, lo zio è spavaldamente atteggiato con le gambe divaricate nell’orgogliosa rivendicazione della propria potenza.

Un’ombra nera, simbolo della menzogna e del male, li unisce e li salda insieme, e ombre sinistre  di colore  si disegnano alle loro spalle, sulle loro vesti e sui loro volti. Quello di Attilio ha una sottile smorfia di perfidia che ne rivela il carattere.  In quello del conte zio traspare invece, come scrive Manzoni,  tutto quel “fondo di goffaggine, dipintogli in viso dalla natura, velato e poi ricoperto, a più mani, di politica,” su cui “balenò un raggio di malizia, che vi faceva un bellissimo vedere”.

Lupica realizza così un’immagine di notevole forza espressiva in cui il dialogo e l’abile gioco degli equivoci e dei sottintesi dei due protagonisti, trovano un’efficace sintesi visiva.

 

 

I Promessi Sposi,  cap. XVIII,  ed. 1840

Attilio, appena arrivato a Milano, andò, come aveva promesso a Don Rodrigo, a far visita al loro comune zio del Consiglio segreto. […] Il conte zio, togato, e uno degli anziani del consiglio, vi godeva un certo credito; ma nel farlo valere, e nel farlo rendere con gli altri, non c’era il suo compagno. Un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d’occhi che esprimeva: non posso parlare; un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimonia; tutto era diretto a quel fine; e tutto, o piú o meno, tornava in pro. […] Fatti i suoi complimenti al conte zio, e presentatigli quelli del cugino, Attilio, con un suo contegno serio, che sapeva prendere a tempo, disse: «credo di fare il mio dovere, senza mancare alla confidenza di Rodrigo, avvertendo il signore zio d’un affare che, se lei non ci mette una mano, può diventar serio, e portar delle conseguenze …»

 

Note