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MENÚ

Immagine dell'opera

Fernando Valenti

(Traona 1931 - Morbegno 2000)

Solitudine

Dimensioni

cm. 50 x 40

Tecnica

Olio su tela

Firma

firmato in basso a sinistra

Provenienza

Acquisto diretto dall'autore

Esposizioni

Commento

“Hai mai conosciuto un essere più triste di un operaio? … ti sei mai chiesto se esiste un essere umano che soffre di solitudine come un operaio?” Erano queste le domande che Fernando Valenti, ricorda il figlio Stefano nel libro La fabbrica della paura (Feltrinelli, 2013), rivolgeva più spesso a sé stesso e a qualche compagno di fabbrica.
Questo dipinto dà forma visiva a queste stesse domande e ne è al contempo la desolata risposta.
È un rarissimo esempio, nella sua produzione, di rappresentazione della figura umana, in cui Valenti ci dà un autoritratto del suo interiore, in cui c’è l’uomo e il suo dramma d’artista.
La grande figura dell’uomo seduto in camicia bianca sbottonata sul petto e con le maniche rialzate che ne scoprono le mani robuste e le braccia, si staglia sul muro grigio alle sue spalle. Sotto il nero cappello, il volto si abbandona desolato sul pugno rialzato mentre l’altra mano si si distende interrogativa sul tavolo davanti alla bottiglia di vino vuota. Dietro di lui, proiettati sul muro, gli incubi della sua desolazione: i segni alienanti e disumanizzanti della fabbrica (la catena metallica, la punta di un trapano) e la tavolozza della pittura con cui l’operaio ha tentato inutilmente di evadere dalla fabbrica, rimasta invece piantata come un incubo dentro di lui anche dopo averla abbandonata, come mostra la catena metallica che si prolunga penetrandone il braccio e la testa. La fabbrica come destino e come condanna, insomma.
La grigia tonalità dell’insieme, il macerato annerimento della carne, i contorni e i rivoli di blu (il colore della vita, sempre squillante in Valenti e qui invece cupo e spento), tutto fa di questo dipinto un concentrato di disperazione e di desolata, infinita tristezza.

Note