Mosč salvato dalle acque
(Milano 1713 - Sondrio 1783)
cm 42x60
Olio su tela
Classicismo settecentesco lombardo
Collezione Ghislanzoni di Morbegno
2008, Milano, Galleria delle Stelline, I Ligari. Pittori del Settecento lombardo
F.S. Quadrio, Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua dalle Alpi, oggi detta Valtellina, Milano 1756, vol. III, pp. 499-500 (II ed. Milano 1961, vol. III, p. 448); C. Bassi, I pittori Ligari di Sondrio, Milano, 1931, p. 48; L. Meli Bassi, I Ligari, una famiglia di artisti valtellinesi del Settecento, Sondrio, Banca Piccolo Credito Valtellinese, 1974, pp. 112-124; AA.VV., Tesori d’arte delle banche lombarde, Roma, 1995, p. 165; Simonetta Coppa, Eugenia Bianchi (a cura di), I Ligari. Pittori del Settecento lombardo, cat. della mostra di Milano in occasione del centenario di fondazione del Credito valtellinese (1908-2008), Skira-Credito Valtellinese, 2008, pp. 196 (scheda a cura di Angela dell’Oca); Paolo Vanoli, I Ligari. Atlante delle opere, Skira-Credito Valtellinese, 2008, p. 138.
Nella tela è raffigurato l’episodio del ritrovamento di Mosé, narrato nella Bibbia (Esodo, 2, 1-10). La figlia del Faraone che, con la sua imponenza, domina al centro l’intera composizione, avvolta in un manto rosso, sopra l’elegante veste, la corona in testa e una perla che le ferma i capelli intrecciati sopra la fronte, ha appena fatto recuperare dalle acque del Nilo la cesta col piccolo Mosé in primo piano. Indicando il bambino, essa ordina alla madre, alla sua sinistra, rintracciata grazie alla sorella del bambino che aveva seguito la scena: “Porta con te questo bambino e allattalo per me; io ti darò un salario.” Il seno scoperto della madre allude proprio a queste parole.
Il particolare del piccolo che piange affamato, ma volge gli occhi altrove, potrebbe essere un indizio che la fonte dell’episodio, più che il racconto biblico, sia anche qui, come nella tela con Mosé che disprezza il Faraone, il Flos Sanctorum di A. De Villegas presente nella biblioteca ligariana, basato sul racconto che dell’episodio fa Giuseppe Flavio nelle Antichità giudaiche. In questo caso si tratterebbe del momento antecedente all’arrivo della madre di Mosé, quello in cui la figlia del Faraone ordina a una donna di allattare il piccolo e che questi “invece di attaccarsi alla poppa, si voltava altrove; e fece così con molte donne” finché, su indicazione della sorellina Miriam, (che forse va riconosciuta nella fanciulla che fa capolino a destra della figlia del faraone) non giungerà la madre.
Questa seconda interpretazione darebbe alla tela, e a quella successiva con l’episodio del disprezzo del Faraone, di cui costituisce il pendant, un’unità tematica e di significato quella del rifiuto da parte del piccolo Mosé prima del latte non materno e quindi della regalità del Faraone, in diretto rapporto con la sua missione di liberatore del popolo di Israele dalla schiavitù dell’Egitto.
Che le due tele fossero state concepite come un dittico, è, del resto, confermato dalla loro destinazione iniziale. Scrive, infatti, l’abate Giuseppe Saverio Quadrio nelle sue Dissertazioni critico storiche intorno alla Rezia (1755) a proposito di Vittoria Ligari, che “delle Pitture di sua mano due se ne veggono in casa Odescalchi all’Olmo, l’una rappresentante Mosé raccolto dal Nilo, l’altra rappresentante Mosé sprezzator di Faraone”. Due tele con gli stessi soggetti ricordati dal Quadrio, provenienti da casa Odescalchi, passarono prima nella collezione Gavazzeni di Talamona, poi nella collezione Fanchi di Morbegno, quindi nella collezione Ghislanzoni di Morbegno da cui sono pervenute infine, nel 1983, in quella della Banca Popolare di Sondrio. E’ possibile quindi, come noi riteniamo, che si tratti delle stesse tele di cui parla il Quadrio, ma non è escluso, come ritiene Laura Meli Bassi, che esse siano “con ogni probabilità i bozzetti o piuttosto i modelli elaborati con particolare ricchezza cromatica”.
La tela appare di buona fattura. Il gruppo centrale è costruito con uno schema piramidale che culmina nel diadema sulla testa della figlia del Faraone. Il rosso del mantello di quest’ultima che ravviva l’intera composizione e contribuisce a staccare la scena in primo piano dal paesaggio con la lontana città sullo sfondo “unico nella pittura ligariana”, nota Laura Meli Bassi.