Secondo e terzo ponte sotto Trafoi

Stretta fra i due opposti versanti boscosi della valle di Trafoi,  la strada, che in primo piano mostra tutta la sua ampiezza, si svolge a zig zag sul fondovalle lungo il torrente. Come la valle, anche il cuore del viaggiatore si stringe con l’addensarsi dell’ombra in primo piano, che sottolinea l’arcigna severità della strettoia, ma, allo stesso tempo, inquadra ed esalta lo scenario luminoso dello sfondo, la cui profondità è misurata dal grande larice che si innalza come un pinnacolo al centro del paesaggio verticalizzando la veduta altrimenti banalmente appiattita sulla strada in basso.

Questa funzione estetica del grande larice sembra quasi qui richiamare le parole di Kant nella Critica del giudizio a proposito del paesaggio alpino nel paragrafo “Sulla valutazione delle grandezze delle cose naturali, richiesta dall’idea di sublime”. “Un albero, che valutiamo secondo l’altezza dell’uomo, - scrive Kant - costituisce la misura per una montagna.”

Meyer si mostra qui, insomma, un attento allievo dell’estetica kantiana del paesaggio.

L’incisione, peraltro, ha un suo riscontro letterario nella descrizione che dello stesso itinerario dello Stelvio farà trent’anni dopo Splendiano Morselli nella Grande illustrazione del Lombardo-Veneto di Cesare Cantù: “Da Gamogai, a metri 1319 sopra il mare, comincia un lungo rettifilo; e quivi dalla valle di Schulden esce il torrente che ricevendo le acque superiori e gli scoli delle ghiacciaje, li porta fino all’Adige. La strada gittasi ora destra or a sinistra della valle, secondo tornava meglio per evitar le frane,  facilissime in quella lubrica roccia di schisto argilloso in dissoluzione, e le valanghe quivi frequenti: talché si moltiplicano i ponti e le risvolte, che dicono tourniquets”.

(Splendiano Morselli, La Valtellina, lo Stelvio, in Cesare Cantù, Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, 1859) 


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