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Il cane

Drizzandosi e irrigidendosi sulle proprie zampe, un cane, in cui l’autore immagina sé stesso, cerca invano di liberarsi dalla catena fissata al suo collare e legata a un tubo metallico, imbullonato, a sua volta, alla grossa macchina industriale (la bocca di un altoforno?) che si vede sulla sinistra, coperta in parte dalla grossa testa del cane che abbaia e che nello sforzo sembra quasi attraversato da scosse elettriche che ne lacerano e ne scompongono la figura. Intorno lo circonda un universo di ingranaggi, ruote dentate, enormi viti a spirale, bulloni e residui di lastre arrugginite. In questa sorta di prato metallico, nascono a destra e a sinistra, anche delle tenere margherite la cui corolla, tuttavia, è ironicamente costituita da un bullone che le fissa all’insieme. È un universo meccanico affastellato, che si chiude in sé stesso come una prigione immersa in una corrente di azzurro che lo innerva e lo attraversa, in decorativo contrasto cromatico col rosso vivo su cui in alto, si staglia l’intera composizione.


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