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Titolo dell'opera:

San Francesco di Paola attraversa lo Stretto di Messina

Autore:

Artista del XVIII sec.

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Dimensioni:

cm. 298 x 220

Tecnica:

Affresco

Stile:

Barocco

Provenienza:

Affresco staccato dalla facciata dell’Agenzia Bps di Gravedona

Note:

Affresco staccato dalla facciata dell’attuale sede dell’Agenzia Bps di Gravedona

San Francesco di Paola attraversa lo Stretto di Messina

L’imponente affresco murale settecentesco, di circa 3 metri di altezza per oltre 2 di larghezza, proviene dalla facciata ovest, verso via Sabbati, dell’edificio dove ha oggi sede l’Agenzia della Banca Popolare di Sondrio a Gravedona.

Malgrado il degrado subito nel tempo dal pigmento cromatico, il restauro ha restituito un affresco murale di squisita fattura per la raffinata cromìa e l’essenziale chiarezza rappresentativa dell’impianto scenico.  

L’affresco raffigura uno dei più noti miracoli della vita di san Francesco da Paola, il santo francescano calabrese fondatore dell’Ordine dei Minimi, vale a dire l’attraversamento dello Stretto di Messina sul proprio mantello disteso sull’acqua e drizzato a mo’ di vela sul bastone da viandante.

L’episodio, avvenuto, a quanto pare, il 4 aprile 1464, è narrato già nel cosiddetto Processo calabro, svoltosi tra il 1516 e il 1518 per volontà di Leone X, che raccoglie gli atti della canonizzazione del santo.  Ma qui il racconto dei testimoni, che narrano per sentito dire, parla di un attraversamento avvenuto camminando sulle acque insieme ad altri due frati, dopo il rifiuto di un barcaiolo di traghettarlo, mentre una posteriore cronaca manoscritta settecentesca di Milazzo, estratta dagli antichi archivi comunali, Giuliana di tutto il memorabile della sempre fedelissima e leal città di Melazzo.. (rubata nel 1980 e oggi conosciuta solo attraverso la trascrizione fattane a suo tempo da Elvira d’Amico facilmente reperibile on line), riporta per esteso l’episodio.

Scrive l’archiviario di Milazzo don Pietro Proto de Alarcon: “Doppo in detto anno medesimo 1464 due giurati di questa città, che furono Angelo Camarda e Giovanni Villano partirono per Paterno, terra di Calabria ove si trovava il santo e lo pregarono che venisse in Milazzo a commun consolazione, come il santo promise. Si partì dunque da paterno pella catena donde solendo passare per Sicilia pregò un padrone, Pietro Cilona, che facesse la carità tragittarlo con sua barca, il che niegato distese il suo mantello sull’acqua assieme col padre Francesco Maiorano milazzese religioso passò il Faro approdò sotto il Casale del Gesso e di là portatosi per terra di Melazzo a 4 aprile giunse in essa,…”.

È questa la fonte storica, non certo diretta ma mediata dall’agiografia e dall’abbondante iconografia artistica contemporanea diffusa allora dalle incisioni, cui si rifà nella seconda metà del Settecento l’anonimo autore del nostro affresco.  

In primo piano la torbida riva calabra di Catona, allora punto di partenza verso la Sicilia, segnata da una scenografica vegetazione, da cui ha già preso il largo il mantello-vela coi due religiosi. Il santo, ritto in ginocchio, prega col volto verso il cielo, mentre il povero padre Maiorano, seduto, stringe trepidante le mani guardando impaurito la terra che si allontana.

L’improvvisata imbarcazione veleggia, sballottata dalle onde, verso la punta della Sicilia, della quale si vede in secondo paino il Casale del Gesso e il Faro di Messina, davanti a cui due figure protendono le braccia per richiamare soccorso e attenzione verso la barca di Pietro Cilona (un vascello di raffinato disegno) che si allontana nella dorata luce meridiana sullo sfondo della montagna e, forse, della città di Milazzo il cui profilo chiudeva probabilmente l’orizzonte.   

Il degrado dei colori, del resto, ha fatto oggi perdere la gialla cromia della barba del santo e il bianco degli occhi del frate suo accompagnatore, ma, in compenso, ha conservato l’elegante progressione cromatica che dallo scuro del primo piano, avanza verso la chiara e luminosa atmosfera entro cui si disegna la scena del miracolo ridotta, senza enfasi, ai suoi elementi essenziali, lo mantello-vela col santo, la punta della Sicilia, la barca che si allontana, la nuvola rosa dorata che si distende nel cielo come una provvidenziale mano divina.

Si tratta, come si vede, di una preziosa, e finora ignorata, testimonianza artistica del culto di San Francesco di Paola in Alto Lario, documentato, peraltro, da alcune cappelle presenti nelle chiese delle antiche Tre Pievi, tradizionali zone di emigrazione verso la Sicilia.

La sua importanza, tuttavia, risiede nel fatto che è una raffinata testimonianza artistica di parte laica su un santo patrono della navigazione e della gente di mare, realizzata sulla facciata di un edificio storico di Gravedona prospiciente il lago, ma nella facciata rivolta sulla via verso il paese e destinata, perciò, alla fruizione pubblica popolare dei suoi abitanti.

Tutto ciò pone diversi interrogativi non solo sulla mano del suo possibile autore e sugli anni in cui l’affresco fu realizzato, quanto sulla storia e la personalità del suo committente. Tutti interrogativi cui, allo stato attuale della documentazione archivistica disponibile sul palazzo e sulla sua proprietà nel Settecento, non è oggi possibile dare una risposta.