Renzo nello studio del dottor Azzeccagarbugli (1830)
(Roma 1781 - Roma 1835)
foglio mm. 425 x 543, parte figur. mm. 290 x 347
Litografia
Romanticismo
Pinelli fece 1830 Roma
Pinelli segue qui abbastanza fedelmente la descrizione che della scena fa il Manzoni, aggiungendo di suo il gatto tra i libri e i due fiaschi di acquavite sul pavimento che alludono alle poco sobrie abitudini del dottore. Gli sfugge, però, il gesto decisivo di Renzo, quel roteare il cappello tra le mani, spia dell’atteggiamento di inferiorità dell’umile davanti al dotto, che qui diventa invece una spavalda mano da ganzo romano appoggiata sul tavolo, in contrasto col tono timido delle sue parole.
I Promessi Sposi, cap. III, ed. 1827
... «venite, figliuolo», e lo fece entrare con sè nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale erano distribuiti i ritratti dei dodici Cesari; la quarta, coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel mezzo, una tavola gremita di allegazioni, di suppliche, di libelli, di gride, con tre o quattro seggiole all’intorno, e da un lato un seggiolone a bracciuoli, con un appoggio alto e quadrato, terminato agli angoli da due ornamenti di legno, che si alzavano a foggia di corna, [...] Il dottore era in veste da camera, [...] Chiuse la porta, e fece animo al giovane, con queste parole: «figliuolo, ditemi il vostro caso.»
«Vorrei dirle una parola in confidenza.»
«Son qui», rispose il dottore: «parlate.» E si assettò sul seggiolone. Renzo, ritto dinanzi alla tavola, facendo rotare colla destra il cappello intorno all’altra mano, rincominciò: «Vorrei sapere da lei che ha studiato...»
«Ditemi il fatto come sta,» interruppe il dottore.
«Ella ha da scusarmi, signor dottore: noi altri poveri non sappiamo parlar bene. Vorrei dunque sapere...»
I Promessi Sposi, cap. III, ed. 1840
Il dottore l’accolse umanamente, con un «venite, figliuolo», e lo fece entrare con sè nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale eran distribuiti i ritratti de’ dodici Cesari; la quarta, coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel mezzo, una tavola gremita d’allegazioni, di suppliche, di libelli, di gride, con tre o quattro seggiole all’intorno, e da un parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli da due ornamenti di legno, che s’alzavano a foggia di corna, [...] Il dottore era in veste da camera, [...] Chiuse l’uscio, e fece animo al giovine, con queste parole: «figliuolo, ditemi il vostro caso».
«Vorrei dirle una parola in confidenza.»
«Son qui», rispose il dottore: «parlate.» E s’accomodò sul seggiolone. Renzo, ritto davanti alla tavola, con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva girar con l’altra, ricominciò: «Vorrei sapere da lei che ha studiato...»
«Ditemi il fatto come sta,» interruppe il dottore.
«Lei m’ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo parlar bene. Vorrei dunque sapere...»