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Titolo dell'opera:

Renzo e Lucia tentano a sorpresa il matrimonio davanti a don Abbondio (1831)

Autore:

Bartolomeo Pinelli

(Roma 1781 - Roma 1835)

Dimensioni:

foglio mm. 425 x 543, parte figur. mm. 300 x 350

Tecnica:

Litografia

Stile:

Romanticismo

Firma:

Pinelli f Roma 1831

Renzo e Lucia tentano a sorpresa il matrimonio davanti a don Abbondio (1831)

È la notte degli equivoci e degli inganni. Tonio, con la scusa del riscatto di un pegno («la collana della mia Tecla»), si è introdotto con Gervaso in casa di don Abbondio. Agnese, con un malevolo pettegolezzo sui suoi mancati matrimoni, ha attirato Perpetua lontano dall’uscio, permettendo a Renzo e Lucia di sgattaiolare furtivamente anch’essi in casa del curato. Tonio ha già preso dalle mani di don Abbondio la ricevuta del suo pagamento, quando con Gervaso si scosta perché Renzo e Lucia possano pronunciare a sorpresa il loro “sì” alla presenza di due testimoni. Il resto è tutto nella magistrale descrizione manzoniana della fulminea reazione di don Abbondio, ben illustrata da Pinelli che vi aggiunge di suo alcuni particolari, come i fiaschi di vino sulla mensola in alto, la scopa e la paletta appoggiati all’armadio e, impagabile, il quadro alla parete con la scena di una commedia comica, che fa il verso alla comicità della commedia che si sta recitando nella scena del romanzo.

 

 

 

I Promessi Sposi, cap. VIII, ed. 1827

Tonio, stendendo la destra a prenderlo [il foglio], si ritirò da una parte, Gervaso, ad un suo cenno, dall’altra: ed ecco, come al dividersi di una scena, apparire nel mezzo Renzo e Lucia. Don Abbondio, intravvide, vide, si spaventò, si stupì, s’infuriò, pensò, prese una risoluzione: tutto questo nel tempo che Renzo mise a proferire le parole: «signor curato, in presenza di questi testimonii, quest’è mia moglie.» Le sue labbra non erano tornate in riposo, che don Abbondio aveva già lasciata cadere la quitanza, afferrata colla manca, e sollevata la lucerna, ghermito con la destra il tappeto che copriva la tavola e tiratolo a sé con furia, gittando a terra libro, carta, calamaio e polverino; e balzando tra la seggiola e la tavola, s’era avvicinato a Lucia. La poveretta con quella sua voce soave, e allora tutta tremante, aveva appena potuto proferire: «e questo...» che don Abbondio le aveva gittato sgarbatamente il tappeto sulla testa e sul volto, per impedirle di pronunziare intera la formola.

 

I Promessi Sposi, cap. VIII, ed. 1840

Tonio, allungando la mano per prendere la carta, si ritirò da una parte; Gervaso, a un suo cenno, dall’altra; e, nel mezzo, come al dividersi di una scena, apparvero Renzo e Lucia. Don Abbondio, vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s’infuriò, pensò, prese una risoluzione: tutto questo nel tempo che Renzo mise a proferire le parole: «signor curato, in presenza di questi testimoni, quest’è mia moglie.» Le sue labbra non erano ancora tornate al posto, che don Abbondio, lasciando cader la carta, aveva già afferrata e alzata, con la mancina, la lucerna, ghermito, con la diritta, il tappeto del tavolino, e tiratolo a sé, con furia, buttando in terra libro, carta, calamaio e polverino; e, balzando tra la seggiola e il tavolino, s’era avvicinato a Lucia. La poveretta, con quella sua voce soave, e allora tutta tremante, aveva appena potuto proferire: «e questo...» che don Abbondio le aveva buttato sgarbatamente il tappeto sulla testa e sul viso, per impedirle di pronunziare intera la formola.