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Titolo dell'opera:

Salvator Mundi

Autore:

Daniele Crespi

(Busto Arsizio, Varese 1597/1598 - Milano 1630)

Dimensioni:

cm 63x48

Tecnica:

Olio su tela

Stile:

Classicismo barocco emiliano

Provenienza:

Acquisto da collezione privata varesina tramite Finarte, 1981, col titolo: Redentore

Bibliografia

Maria Cristina Terzaghi, Daniele Crespi, Salvator Mundi, scheda in Tesori delle banche lombarde, Milano, ABI, 1995, p. 68; Francesco Frangi, Milano circa 1620: l’Accademia di Federico Borromeo e gli esordi di Daniele Crespi, in “Nuovi Studi”, I, 1, pp. 139 e 148; Francesco Frangi, Un caravaggesco tra i “pestanti”. Tanzio e la pittura milanese del primo Seicento, in Marco Bona Castellotti (a cura di), Tanzio da Varallo. Realismo fervore e contemplazione in un pittore del Seicento, cat. della mostra, Milano, pp. 66 e 69, note 26-27; Francesco Frangi, Giuseppe Vermiglio in Lombardia: indicazioni per un percorso, in Daniele Pescarmona (a cura di), Giuseppe Vermiglio. Un pittore caravaggesco in Lombardia, cat della mostra, Milano, pp.66-67 e 77, note 38-40; Andrea Spiriti (a cura di), Daniele Crespi, un grande pittore del Seicento lombardo, cat. della mostra di Busto Arsizio, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2006, schede nn. 33 e 34, pp. 248-250, a cura di Beatrice Bolandrini.

Salvator Mundi

L'opera è entrata nel 1981 nelle collezioni della Banca Popolare di Sondrio con un'attribuzione a Giulio Cesare Procaccini, l'artista bolognese della cui influenza risente in effetti l'opera giovanile del Crespi e col quale spesso le sue opere vengono ancor oggi confuse.

Nel 1995 Maria Cristina Terzaghi, nel volume Tesori delle banche lombarde, pur ribadendo le indubbie affinità col Procaccini, ha ritenuto invece più certa una sua attribuzione a Daniele Crespi, sia per il ductus della pennellata a piccoli colpi, diversa da quella “lunga e sfilacciata del Procaccini”, sia per il forte gioco delle ombre che fa emergere “la poderosa figura di Cristo quasi in aggetto dal fondo della tela”.

L'ipotesi della Terzaghi è stata in tutti questi anni confermata da tutti gli studiosi del Crespi. Francesco Frangi, in particolare, nel ribadire la fondatezza di tale attribuzione, ha avanzato nel 2000 l'ipotesi che proprio questo piccolo Salvator Mundi, potesse corrispondere a quel “N.ro Sig.re a mezza figura con il Mondo in mano”, ritenuto del Crespi, di cui si fa menzione nell'inventario del 1697 della collezione di Giuseppe Giacomo Filippo Botteri.

La serica e sensuale morbidezza dell'incarnato ha indotto lo stesso Frangi a sottolinearne anche l'affinità stilistica con alcune figure di Tanzio da Varallo, col quale il Crespi ha forse potuto intrattenere, secondo Frangi, qualche scambio.

Più recentemente Beatrice Bolandrini, nella scheda che accompagna l'opera sul catalogo della mostra di Daniele Crespi a Busto Arsizio, ha notato, invece, come “la delicatezza fisionomica che caratterizza questo profilo sinuoso, costruito con toni metallici su giochi di luce e di ombre, riveli una componente limpida e smaltata tale da ricondurre per esempio al Salvator Mundi o al Cristo dell’Ultima Cena di Giuseppe Vermiglio”, l'artista insieme a cui il Crespi lavorò a Santa Maria delle Grazie a Novara nel 1622, cioè proprio negli anni della sua piena maturità giovanile cui, quasi certamente, risale anche quest'opera.

Di notevole interesse, infine, il confronto diretto presentato alla mostra di Busto Arsizio, fra questo Salvator Mundi e un'altra versione inedita dello stesso soggetto, rinvenuta da Andrea Spiriti e anch'essa attribuita al Crespi che nel complesso appare “meno struggente rispetto al dipinto della Banca Popolare, dove ad emergere dal chiarore che circonda la figura è l'eleganza formale e la bellezza adolescenziale del giovane Cristo.” (Beatrice Bolandrini).

Non solo il volto e la figura di Cristo appaiono differenti in questa ulteriore versione inedita del Salvator Mundi, ma anche il globo terrestre che Cristo trattiene sotto la sua mano sinistra appare meno definito e appena accennato nell’ombra da un bella lama di luce.