Genere figurativo, a carattere intimista, affermatosi tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento in Olanda, nei Paesi Bassi, in Francia, Spagna e Italia con la rappresentazione di fiori, frutta, pesci, selvaggina, utensili da cucina e strumenti musicali, forse in implicita polemica con l'enfasi della pittura sacra della Controriforma e la retorica monumentalità della pittura storica delle corti principesche. Grandi artisti si cimentarono nella natura morta, da Jan Brueghel il vecchio, a David Teniers, al Caravaggio ("Il canestro di frutta") a Baschenis coi suoi strumenti musicali, a Zurbàran, a Chardin, ma il genere ha conosciuto un'ininterrotta fortuna anche in seguito, nell'Ottocento e nel Novecento, con Delacroix, Courbet, Cézanne, Van Gogh, Matisse, Braque e Picasso, a testimonianza di un inesausto bisogno spirituale dell'artista di contemplazione e meditazione sulla segreta vitalità della natura immobile e delle cose.
Da questo punto di vista, l'espressione italiana "natura morta" non rende affatto giustizia al genere, ed è anzi francamente infelice. Essa, infatti, è la traduzione letterale dell'espressione francese del Settecento nature morte, con cui in Francia fu reso l'originario termine secentesco fiammingo Still-leven, divenuto in Germania Still-leben e in Inghilterra Still-life, cioè "vita (o natura) immobile", in contrasto con la pittura narrativa e la rappresentazione artistica di esseri viventi, uomini o animali.
Nell'espressione francese e in quella italiana, la vita di ciò che non si muove è diventata l'immobilità propria della morte, con la sostanziale perdita della ricchezza semantica e del concetto dell'espressione originaria Still-leven.