Indica l'uso squillante e assoluto del colore puro nell'arte contemporanea, senza alcun rapporto di tonalità con gli altri colori. Il timbro è anzi l'opposto del tono che, nella pittura, misura invece il grado di luminosità di un colore e il suo rapporto di interdipendenza con la luminosità degli altri colori.
Il termine, derivato dal linguaggio musicale dove indica la qualità in sé di un suono, è stato introdotto nel 1948 da Gillo Dorfles che successivamente lo ha sempre più affinato e oggi gode ormai di una larga fortuna nel linguaggio critico. Per Dorfles l'uso del colore timbrico è strettamente legato agli sviluppi dell'arte contemporanea, dai Fauves in poi, e all'autonomia espressiva che in essa il colore ha progressivamente acquistato. "Il colore timbrico - scrive Dorfles - non è in tutto equivalente a quello che altri chiamano colore puro, per quanto ne abbia in comune alcune caratteristiche; quella innanzitutto di non soggiacere agli altri colori del quadro, di affermarsi come entità a sé stante. [...] Questo colore (che possiamo vedere in Mirò, in Léger, in Kandinsky, ecc.) ha una precisa volontà di squillare in maniera autoritaria e egocentrica, senza sottomettersi agli altri colori del dipinto, considerando la sua propria essenza come qualcosa di valido in sé steso, per la sua particolare natura cromatica" (G. Dorfles, Discorso tecnico delle arti, Pisa, 1952).