Nato in Francia nella seconda metà dell'Ottocento, il termine viene quasi sempre usato, sia in letteratura che nelle arti figurative, come variante e sinonimo di naturalismo e di realismo, di cui vuole essere, in qualche modo, un'esasperazione. L'esigenza etica ed estetica di rappresentare il "vero" sta alla base di tutta l'arte della seconda metà dell'Ottocento. Nella pittura di paesaggio è con l'impressionismo che si afferma l'idea di una rappresentazione della natura dal vero, en plein air, cioè di una pittura antiaccademica che rifiuta le regole della pittura tradizionale e riconosce nella natura e nel vero naturale la fonte primaria di ispirazione e nella fissazione sulla tela dell'impressione soggettiva della natura il compito dell'artista. Questa stessa concezione sta alla base del naturalismo italiano del secondo Ottocento e del Divisionismo, che è stata la variante italiana dell'Impressionismo.
Ma nel termine verismo c'è, tuttavia, non solo l'esigenza di rappresentare genericamente il vero, quanto di puntare, con intento di denuncia, sulla rappresentazione del vero sociale, della condizione dei poveri e degli umili, per accelerarne il riscatto. Ogni arte verista è sempre, dunque, un'arte engagée, socialmente impegnata. Sul piano letterario il verismo si affermò nell'Ottocento in Francia con Zola e in Italia con Verga. Nelle arti figurativa il verismo nasce a metà dell'Ottocento in Francia con Courbet e il realismo sociale (v.) di cui può essere considerato sinonimo, e si afferma subito soprattutto in Francia e in Italia. Proprio in questo senso di arte sociale ritroviamo il termine in una lettera di Giorgio Fattori a Primo Levi del febbraio 1903, in cui l'artista scrive: "Badi il verismo porta lo studio accurato della società presente - il verismo mostra le piaghe da cui è afflitta - il verismo manderà alla posterità i nostri costumi e le nostre abitudini".