Tecnica di incisione su metallo in cui viene utilizzato l'acido nitrico (nel medioevo chiamato appunto aqua fortis) come mordente, cioè come soluzione acida per favorire la corrosione, cioè la morsura, della parte incisa.
Il metodo dell'incisione all'acquaforte fu descritto per la prima volta da Benvenuto Cellini nel 1568 in uno dei suoi trattati sull'oreficeria. Su un lastra di rame o d'acciaio viene stesa una vernice grassa trasparente resistente all'acido, quindi l'artista procede ad incidere con uno strumento a punta metallico (lo "stile" come lo chiama Cellini) un disegno a rovescio (come se fosse un negativo) mettendo a nudo il metallo. Protetta sul rovescio da una vernice isolante, la lastra incisa viene immersa nel mordente - una soluzione di acqua e acido nitrico o percloruro di ferro - per il tempo che l'artista reputa necessario a ottenere nel disegno inciso solchi più o meno profondi in base agli effetti che si ripropone. Più tempo la lastra resta immersa, più profonda è la morsura, cioè i solchi che l'acido scava sulla parte incisa del metallo. Estratta dal bagno acido, la lastra viene ripulita della vernice grassa che ne ha protetto la parte non incisa, viene inchiostrata e impressa su un foglio col procedimento di stampa al torchio.
Dapprima usata soprattutto nell'oreficeria, l'incisione ad acquaforte si diffuse presto come autonoma tecnica di produzione artistica e di stampa. Una delle prime acqueforti conosciute è la Battaglia di dieci nudi del Pollaiolo, ma presto si diffuse ad opera di grandissimi artisti come Dürer, Rembrandt, Callot, Rubens, Piranesi, Giovan Battista Tiepolo, Goya, e quindi Picasso, Chagall, Morandi, ecc. Ancora oggi l'incisione è largamente praticata nell'arte moderna.
L'acquaforte consente all'artista una resa molto naturale del disegno insieme ai più svariati effetti pittorici che si possono ottenere attraverso diverse morsure. Ciò spiega la larga fortuna incontrata da questa tecnica artistica nella storia dell'arte.